“Anch’io ho il desiderio di gettare il mio cuore oltre il filo spinato quando vedo quelle immagini”
Sabato 28 agosto, sul palco viareggino, che ha celebrato la 92esima edizione del Premio letterario Viareggio – Rèpaci, presieduto da Paolo Mieli, nell’anno delle celebrazioni dantesche, il premio speciale “Città di Viareggio” viene assegnato congiuntamente dal Sindaco Giorgio del Ghingaro e dal Presidente Paolo Mieli a Roberto Benigni.

“Tu sei riuscito a riproporre un tema” chiede Paolo Mieli all’attore e regista premio Oscar “il tema di cui ha parlato Edith Bruck, il tema della Shoah, attraverso un film strano perchè era un film che toccava anche corde ironiche. La sapresti fare anche sull’Afghanistan oggi una cosa del genere?”
“Oh… l’Afghanistan, ma signori miei” la risposta di Benigni: “Lei sa meglio di me che, tutto ciò che è, diciamo… quando io ho parlato dell’Olocausto, dei campi di concentramento, non era un documentario. Era una finzione. Era mediato dall’arte come si dice, e ciò che tocca l’arte, l’arte cambia sempre il soggetto del quale parla. Quindi cambiava il soggetto.
Adesso parlare dell’Afghanistan adesso, quando “la fiamma brucia”, quelle facce, ciò che vediamo nei reportage o nei servizi televisivi è insuperabile, non lo si puo’ toccare dall’ironia perchè è troppo presente e ha bisogno del tempo”.
E poi c’è una tragedia estrema. Le immagini che vediamo di quella gente nel fango, delle mamme che gettano i bambini oltre il filo spinato. E’ come gettare il proprio cuore, il nostro cuore. Ha detto Edith Bruck “vivevamo in un mondo di profughi”, il nostro cuore è un profugo in questo mondo. Anche io ho il desiderio di gettare il mio cuore oltre il filo spinato quando vedo quelle immagini perchè riguardano me. Io sono loro. Io sono quel bambino. Io sono loro, sono tutte le facce del Cristo. Ognuno di loro è proprio come si dice nel Vangelo “e ciò che fate a loro lo fate a me”. Dobbiamo aiutarli non è che c’è un’altra maniera.
Io ricordo una frase famosa del filosofo Adorno sulla Shoah, che diceva “dopo Auschwitz non si può più fare poesia”. No, il fatto è che questa stessa frase di Adorno col tempo è diventata poesia.
Questa è una cosa che vuol dire che la poesia la bellezza si riprende la vita.
L’intervento di Roberto Benigni
© Premio letterario Viareggio – Rèpaci